
Sulla prima pagina di Ingegneria del 1° settembre 1922 si trova un interessante articolo dal titolo: “Il problema dalla burocrazia”. Siamo in vista del centenario di questo grido di allarme e sarebbe un peccato che un così prestigioso anniversario passasse inosservato. Per questo motivo, ho pensato di dedicare all’argomento un libello in cui pensare a quale sia il ruolo della burocrazia nelle nostre vite. E quando dico “nostre”, intendo di noi ricercatori. Non ho certo l’ambizione di redarre un tomo analitico che analizzi le variegate forme che l’animale burocrazia può assumere, ma vorrei, più semplicemente, attirare l’attenzione del pubblico, e, se possibile, del legislatore, sul difficile rapporto che l’attività di ricerca pubblica sta vivendo nei confronti dell’apparato burocratico che la controlla.
Certamente, un libello di queste intenzioni rischia di diventare più un rimedio per l’insonnia che non una sveglia legislativa. Per questo motivo, poiché niente ha più fascino dei racconti di vita vissuta, sono qui a chiedere il vostro aiuto. Sul sito qui indicato, lapallaalpiede.com, potete trovare un form dove, in modo del tutto anonimo, potete raccontarmi la distopia burocratica più divertente/strana/irritante che vi sia capitato di vivere o di osservare. Sono le stesse storie che ci fanno mettere le mani nei capelli nelle conversazioni alla macchinetta del caffè; quelle che, non appena vengono raccontate, sono in grado di farci vincere qualunque rivalità accademica e ci affratellano in un’unica grande classe: quella delle vittime della burocrazia.
Intendo essere chiaro. Io non nutro rancore verso gli impiegati del sistema, che giudico vittime tanto quanto noi. Ma vorrei far emergere quelle situazioni talmente paradossali che non possano non suscitare un qualche sentimento.
Può darsi che poi – come spesso – nulla cambi. Ma non si dirà che non avevamo cercato di fare qualcosa.
Vi chiamo quindi all’azione: regalatemi 5 minuti, qualche paragrafo, e una bella storia.