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La solita narrazione scandalo sui concorsi universitari

concorsi universitari

Lunedì 7 febbraio è andata in onda su Rai3 una puntata di Presa diretta sui concorsi universitari. Riccardo Iacona ha costruito una rappresentazione dell’Università italiana come un sistema mafioso, in cui professori ordinari tessono accordi, scambi, patti scellerati per reclutare candidati non meritevoli, o poco meritevoli, in virtù della loro appartenenza locale e non dei loro titoli scientifici. Ha intervistato alcune “mosche bianche” che si sono ribellate a questo sistema e hanno pagato in termini di esclusioni, anni e anni di ricorsi, penalizzazioni, il loro attaccamento ai principi di meritocrazia, di diritto, di competizione leale. Quindi ha mostrato come vanno il reclutamento e la ricerca nei Paesi Bassi e in Germania, creando un effetto forte di contrasto. L’amicizia da un lato, il talento dall’altro. Infine, la ciliegina sulla torta: una breve intervista alla Ministra dell’Università, Cristina Messa, per farsi “promettere” l’abolizione dell’art. 24, “li vogliamo eliminare questi concorsi locali?”, con fare un po’ paternalistico.

Inizio da quest’ultima – la ciliegina – per precisare che il motivo per il quale l’art. 24 è così gettonato (meno di quello che si creda poi, ma non importa) è molto semplice: i costi. Quando un concorso lo vince un candidato interno l’università paga solo la differenza di stipendio, mettiamo fra la posizione di professore associato e quella di professore ordinario, un decimo più o meno di quanto costerebbe assumere un nuovo professore ordinario. Questo si riflette sulle fasi che precedono il bando: un dipartimento può programmare un posto da professore ordinario in base all’art. 24 stanziando un budget molto più basso. Dato che l’Università italiana per anni e anni è stata sotto finanziata, questi dettagli contano, hanno contato, parecchio.

Ma questo solo per puntualizzare.

Molto di più invece mi preme sottolineare il resto. Iacona costruisce la sua narrazione scandalistica sui concorsi universitari – nessuna novità, i giornalisti italiani amano gettare fango sull’università – con un procedimento metonimico (la parte per il tutto). Alcune vicende, in alcune sedi, sono emblematiche di come vanno le cose in generale. Non c’è un contraddittorio. Non c’è un esempio di reclutamento virtuoso. Eppure, sono tantissimi, sempre di più negli ultimi anni, i concorsi che si svolgono come vere e proprie valutazioni comparative. Specialmente quelli per ricercatore a tempo determinato. E che sono vinti dai candidati migliori. A questi si aggiungono i reclutamenti mediante la procedura di rientro dall’estero, sempre più numerosi, e le chiamate di professori vincitori di finanziamenti europei.

Che poi i nostri Atenei contino pochi professori non italiani – come è stato sottolineato sempre ieri sera con il fare da finto ingenuo del giornalista – è vero, ma dipende dal fatto che i nostri corsi di laurea sono ancora per lo più interamente in lingua italiana. Vogliamo prendere l’inglese e farne la lingua dell’insegnamento universitario? Certo questo attirerebbe molti più studiosi dall’estero. Ma forse creerebbe altri problemi. E comunque ci sono in Italia – e sono in crescita – corsi di laurea internazionali, dove la lingua d’insegnamento è l’inglese e dove insegnano professori non italiani e ci sono studenti di tantissimi paesi diversi.

Insomma, il panorama dell’università italiana non è più dominato da quei baronati medievali descritti ieri sera da una trasmissione superficiale. E la Ministra avrebbe fatto meglio a sottolinearlo, invece di accondiscendere davanti a un giornalista che di università non sa nulla, o sa davvero molto poco.

Quindi, una nota personale: ci tengo a dire che da professore ordinario ho fatto parte delle commissioni esaminatrici di molti concorsi, per ricercatore, per associato e per ordinario, e non ho mai fatto scambi o accordi o patti con nessuno. Ho sempre scelto la persona che aveva i titoli migliori. E così so per certo che hanno fatto e fanno molti miei colleghi. Ma questo probabilmente non fa clamore.

Infine, un auspicio: sarebbe ora che l’Università italiana smettesse di accettare supinamente qualsiasi cosa le venga gettata addosso.

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