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Le relazioni non pericolose. Vita di coppia al tempo del coronavirus

I tempi del Coronavirus hanno decretato la nascita, con inusitata rigidità, di un antagonismo tra plurimi interessi, condensati attraverso variegate articolazioni in libertà, diritti e obblighi, che in tempi normali convivono senza che il perseguimento dell’uno rappresenti motivo di pregiudizio dell’altro (solo per fare alcuni esempi: libertà di movimento, diritto di riunione, diritto d’iniziativa economica; diritto al lavoro, tutela della salute di ciascun individuo, salute pubblica). 

 Il varo di prescrizioni dal contenuto altamente proibitivo indirizza la riflessione innanzitutto sulla tendenza, tipicamente contemporanea, a non attribuire peso adeguato – di talché sottovalutandoli – agli interessi fondamentali che nutrono la personalità degli individui mediante il riconoscimento in capo a ciascuno delle relative libertà; capsule, queste ultime, che servono a rivestirli di forma e a dotarli di consistenza al cospetto dell’ordinamento giuridico.

 La percezione di quel che significhi poter godere di libertà, delle implicazioni alle medesime sottese ai fini del pieno sviluppo della personalità umana, dello stato di benessere che sono in grado di generare, si ha solo nel momento in cui esse, per ragioni legate alla salvaguardia di interessi altrettanto fondamentali, risultano, seppur per motivi contingenti, soccombenti.

Ricorrendo allegoricamente al pensiero di Nietzsche sulla felicità, ben potrebbe dirsi che la libertà non ha volto ma spalle, la si vede solo quando se ne è andata.

 La compressione della libertà di movimento, l’obbligo di rimanere a casa – ancorché con tutte le deroghe ispirate pur sempre dalla logica del ragionevole contemperamento rispetto ad altri interessi astrattamente meritevoli tutti di tutela – ha annientato dinamiche relazionali vissute sino a ieri alla stregua di componenti rilevanti, alle volte imprescindibili, dell’esistenza di ognuno. Al tempo stesso ne ha potenziate altre, da cui potranno scaturire nel medio periodo, e all’esito della crisi in atto, conseguenze in parte dirompenti, non tutte facilmente prevedibili e comunque non catalogabili sulla scorta delle acquisizioni maturate ad oggi sul piano delle dinamiche comportamentali. Dinamiche che meritano, anche perché non v’è dubbio che diverranno osservatorio privilegiato per coltivare quell’anelito quasi utopistico della ricerca e dell’individuazione di valori condivisi, l’attenzione di più di un genere letterario, dovendosi dar per scontato che la riflessione dovrà orientarsi in senso pluridisciplinare.

 Un rapido riferimento, conscio della necessità che un tema di tal portata venga affrontato attraverso la concessione di ben altro spazio, deve essere riservato al fenomeno delle relazioni sentimentali in tempi di restrizione della libertà di recarsi all’esterno.

 Molti romanzi, anche di recente, hanno frequentemente focalizzato l’attenzione sull’unione coniugale e, più in generale, sulle unioni fondate sull’amore di coppia, proscenio privilegiato per osservare un intreccio sovente inestricabile di sentimenti che si dipanano secondo dinamiche irriducibili a schemi. Riflettere su ciò che accade nell’ambito delle relazioni affettive offre una chiave di lettura, di non secondaria importanza, per analizzare gli andamenti di una realtà socio-economica fluttuante, in cui gli stili di vita condizionano e, a loro volta, risultano condizionati in primo luogo dall’ambiente di appartenenza e, poi, dal contesto generale, sempre più vissuto in una prospettiva globalizzante.

 L’obbligo di rimanere a casa, se ha posto le coppie non conviventi in una forzosa situazione di distacco, ha per converso, in relazione a molti ambienti domestici, dato luce e volto nuovi al dovere di coabitazione tra coniugi, gravante parimenti sui componenti le unioni civili e, quanto meno sotto il profilo morale, sui conviventi more uxorio. Si sta dunque assistendo a una sorta di standardizzazione dei comportamenti nei contesti familiari i quali, ormai da lungo tempo, risultavano informati a logiche tipicamente individuali, tese a privilegiare dinamiche di permanenza all’esterno. La coabitazione, effetto immediato del divieto di non varcare l’uscio di casa, se non per il tempo strettamente necessario a soddisfare bisogni imprescindibili e, ogni caso, in luoghi contigui all’abitazione, è diventata il dirompente substrato lungo il quale i ritmi della quotidianità, totalmente mutati, sono scanditi nella loro inquietante ripetitività. Ragion per cui viene da chiedersi, ma il lettore avveduto penserà immediatamente a una domanda di stampo retorico, in quale condizione verseranno le relazioni di coppia nel momento in cui ci si avvierà verso il ritorno alla normalità.

 Forse, e in ciò – non desidero certo nasconderlo – per certi versi una boutade, l’unica possibilità per uscire indenni da un periodo come quello che stiamo vivendo consiste nell’abbandonare la visione idealizzata dell’amore, così come esaltata attraverso la sua collocazione in una dimensione sacrale, per concepire con Montaigne il matrimonio in termini di alleanza e di amicizia.

(articolo già pubblicato in Giustizia civile.come qui riproposto con l’autorizzazione della rivista)

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