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Manifestazione di civili Saharawi al tempo del Covid-19

Concentrati come siamo sul Covid-19 (o come ci vogliono, vista la copertura mediatica incessante e martellante su ogni mezzo di informazione, che ripropone come sempre più attuale la domanda circa la reale qualificazione dei mezzi di dis- o in-formazione), sembra che viviamo totalmente indifferenti a ciò che succede nel mondo al di fuori dei numeri e delle misure anti-pandemia (con l’unica eccezione delle elezioni americane, of course).

La nostra preoccupazione principale, tuttavia, in molti casi, sembra non andare oltre a come passeremo il Natale, e raramente si focalizza sugli effetti della pandemia a medio e lungo termine sulle fasce più vulnerabili della popolazione, segnalati dall’aumento degli indici di povertà e povertà estrema, o sulle conseguenze ambientali e sociali, in particolare l’impatto futuro sui flussi migratori, dovuto all’aumento della diseguaglianza economica fra Nord e Sud globale, e all’interno delle classi sociali di ogni Stato.

Nella bolla fisica e mediatica in cui viviamo, passano quasi inosservate le notizie di conflitti armati internazionali, riesplosi dopo più o meno lunghi periodi di cessate il fuoco.

Il 20 ottobre scorso, nella zona cuscinetto di Guerguerat, al confine tra Sahara occidentale e Mauritania, è iniziata una manifestazione pacifica di civili Saharawi volta al blocco del traffico commerciale attraverso la breccia aperta dal Marocco nel suo muro militare nella zona tampone. La breccia è stata denunciata dal Fronte Polisario, il movimento di liberazione che ha assunto la rappresentanza istituzionale della Repubblica Araba Saharawi Democratica, come violazione dell’accordo militare n. 1 firmato dalla Minurso (la Missione per il referendum nel Sahara occidentale istituita nel 1991 dalle Nazioni Unite), dal Fronte Polisario e dal Marocco tra il 1997 e il 1998, richiamato anche nell’ultimo Rapporto del Segretario generale sulla situazione nel Sahara occidentale pubblicato dalle Nazioni Unite il 23 settembre 2020.

I manifestanti denunciavano inoltre le violazioni sistematiche dei diritti umani perpetrate dalle autorità marocchine nel Sahara Occidentale occupato, nonché il continuo saccheggio delle risorse naturali Saharawi da parte del Regno del Marocco.

L’aggressione militare marocchina nei confronti dei manifestanti disarmati ha provocato la conseguente reazione di autodifesa Saharawi e la ripresa della lotta armata di liberazione, nonché il fallimento delle azioni internazionali e diplomatiche intraprese sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana.

Il Sahara Occidentale è dal 1963 iscritto nella lista delle Nazioni Unite dei territori non autonomi, soggetti a processo di decolonizzazione sulla base della risoluzione 1514 del 14 dicembre 1960. L’ONU, da allora, riconosce il diritto inalienabile del popolo Saharawi all’autodeterminazione. La Corte internazionale di giustizia, nella sua opinione consultiva del 16 ottobre 1975, confermò che il Marocco non poteva vantare nessuna pretesa di sovranità sul territorio del Sahara Occidentale, che correttamente era stato incluso dalle Nazioni Unite fra i territori da decolonizzare. A partire dal ritiro della Spagna dal territorio del Sahara Occidentale il 26 febbraio 1976, e a seguito degli accordi di spartizione tra Marocco e Mauritania, il neocostituito Fronte popolare per la liberazione della Saguía-el-Hamra e del Río de Oro (Fronte Polisario) iniziò una guerra di liberazione che si concluse con la Mauritania nel 1979, mentre con il Marocco si protrasse fino al 1991, data di cessate il fuoco e creazione della missione delle Nazioni Unite per lo svolgimento del referendum per l’autodeterminazione, sulla base di accordi di pace concertati anche con l’Unione Africana.

La guerra e l’occupazione hanno portato migliaia di Saharawi a fuggire dalle loro case e a sopravvivere da allora nei campi profughi allestiti a Tindouf, in Algeria, che attualmente contano oltre 170mila rifugiati. Generazioni di Saharawi sono nate in esilio, avendo conosciuto solo la vita nei campi profughi.

Il referendum avrebbe dovuto tenersi entro 24 settimane dal cessate il fuoco. Il 30 ottobre scorso le Nazioni Unite hanno prolungato la Minurso per un altro anno, non avendo essa ancora realizzato il suo obiettivo. L’ultimo rapporto del Segretario Generale ONU afferma che dall’inizio della missione sono stati spesi 5,247.7 milioni di dollari, destinati al solo mantenimento della missione di peace-keeping, senza alcun impegno nella difesa dei diritti umani dei Saharawi che ancora vivono nei territori occupati. Tale attività non è mai stata inclusa nel mandato della missione, nonostante violazioni alla libertà di manifestazione, di espressione, al diritto a un giusto processo, e casi di torture e detenzioni illegali siano ripetutamente stati denunciati da organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch.

Il Polisario aveva già denunciato in passato anche l’illegittimo sfruttamento economico da parte del Marocco delle risorse naturali del territorio del Sahara Occidentale di fronte alle autorità giurisdizionali dell’UE. In particolare, aveva impugnato gli accordi commerciali siglati tra il Marocco e l’UE, in quanto includevano materie prime e prodotti provenienti dai territori occupati. La Corte di Giustizia, con la sentenza 21 dicembre 2016, ha respinto il ricorso (che era invece stato accolto dal Tribunale dell’Unione con la pronuncia T-512/12 del 10 dicembre 2015), mantenendo in vita gli accordi, in quanto essi devono essere interpretati e implementati sulla base del principio di diritto internazionale di interpretazione in buona fede e tenendo conto di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti di un trattato. Nel caso, la Corte ha considerato rilevante il principio di autodeterminazione a favore del popolo Saharawi, che dunque preclude l’applicazione di accordi commerciali fra Marocco e UE per il territorio del Sahara occidentale. Entrambe le parti in conflitto hanno fatto circolare in rete le proprie interpretazioni dei fatti avvenuti negli ultimi mesi nella zona del Guerguerat. Personalmente, non credo che il problema risieda in questa contingenza, bensì nel più ampio quadro del diritto all’autodeterminazione dei popoli descritta, che la comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, si era assunta la responsabilità di garantire. Tutto ciò che ne è seguito e che ne seguirà sarà ugualmente anche nostra responsabilità.

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