Articolo del blog

Quando e come si diventa vecchi al tempo del lockdown

essere vecchi in tempi di pandemia

De senectute 2020

Contributo di Maria Giuseppina Muzzarelli, Afro Salsi

La vecchiaia è un fenomeno universale e complesso, è un dato sociale, biologico ed anche culturale al quale applicarsi, per ragionamenti non banali, a partire da diverse specificità disciplinari. La durata della vita è cambiata nel corso del tempo così come sono cambiati gli sguardi che si sono applicati al fenomeno. Cambiano teorie e politiche anche in tempi cortissimi sulla scorta di emergenze.

Nel Medioevo, ambito di mia competenza, pare (dico pare perché non sono una specialista al riguardo)  che si datasse la vera e propria vecchiaia dopo i 70 anni (dai 45 ai 70 si era maturi e poi decrepiti, stando alle indicazioni di Dante nel “Convivio”), e già allora si riteneva che l’invecchiamento fosse legato allo stile di vita e ad un  insieme di fattori non solo al mero dato anagrafico.

Ecco parlavo di questo con mio marito, geriatra, in questi giorni di forzata reclusione e quindi di maggiori occasioni di confronto “in casa” protestando come ancora una volta oggi ci si ritenga “più avanti” di quel Medioevo pensato come buio per nostra comodità. Oggi, dopo tante iniziative e riflessioni per “dar vita agli anni”, taluni esperti di non so bene cosa ci dicono che dopo i 60-65 anni si è vecchi e si deve stare a casa. E così ci si ammala d’altro e di più. Ovviamente condivido gli inviti alla prudenza ma chiedevo al geriatra di casa il suo punto di visto. Eccolo. Vorrei condividerlo con i lettori di “parliamoneora”.

Contro i geragoghi, di Afro Salsi

essere vecchi in tempi di pandemia
Benozzo Gozzoli – Cappella dei Magi, Firenze

Quando, spesso, mi capitava di chiedere ad un vecchio quale fosse il suo stato di salute frequentemente mi accorgevo che in primo piano erano questioni inerenti la tanto desiderata regolarizzazione della funzionalità intestinale, meno importanti invece apparivano questioni quali compenso cardiaco, equilibrio del profilo glicemico in caso di diabete o parametri respiratori per i broncopatici. Questa, credo lo si possa comprendere, era un’esperienza spiazzante per un medico giovane quale ero io intriso di un sapere convenzionale in definitiva poco duttile davanti alle sorprese del mondo reale e perciò portato a fare il pedagogo – si dovrebbe dire geragogo – e quindi insegnare a quell’anziano quali erano per lui le cose di maggiore impatto sulla sua salute. Per inciso durante il corso di laurea in Medicina a mia memoria nessuno mi insegnò quale è la migliore cura della stitichezza in età avanzata: credo le cose stiano ancora così. Poi col tempo credo di essere entrato in maggiore sintonia con quel mondo e ho lasciato che fosse lui, il vecchio, a dettare l’agenda delle priorità ovviamente senza mancare di integrarle coi miei saperi. Ho smesso di fare il geragogo.

Perché parlo di questa vicenda di maturazione personale? E’ presto detto. In questo difficilissimo periodo fra le infinite questioni da sistemare vi è anche quella delle misure di salvaguardia della salute degli anziani, meglio sarebbe parlare di benessere, e mi sembra che rischiamo di ripetere lo stesso errore di quel geragogo che ho citato. Latitano le conoscenze pertinenti e questo ci espone al rischio di errori. I vecchi sono innanzitutto una categoria estremamente eterogenea : all’anagrafe (a 65 anni si è molto diversi da 90 anni ), per profilo clinico-biologico, per comorbilità presenti, per interazione col contesto sociale, per autonomia funzionale, per benessere economico e altro ancora. Nessuno con un minimo di sensibilità e competenza gerontologica commetterebbe un errore così grossolano da considerarli un gruppo sociale compatto ed omogeneo. Quindi si tratta di una generalizzazione pericolosa e fuorviante frutto di una ancora scarsa conoscenza del fenomeno dell’invecchiamento umano. Dopo avere clamorosamente mancato di proteggerli laddove vivono i più vulnerabili di loro, nelle RSA, tanto che quasi la metà dei decessi in Europa si è avuta proprio in quei luoghi, qualcuno progetta di togliere loro, discriminandoli in maniera ingiustificata anche sul piano scientifico quelle opportunità che sono per loro l’ossigeno per sopravvivere e che i più avveduti di noi non si sono stancati per decenni di consigliare.  Inclusione e partecipazione, attività fisica, esercizio e mantenimento di tutte le funzioni, valorizzazione come risorsa certo non vengono perseguiti con la reclusione domestica, una scelta nella quale non si riesce a vedere alcun elemento di razionalità se non quello, da dimostrare, di proteggerli indicandoli come vittime designate e magari di untori laddove è dimostrato che il virus nelle RSA è entrato da fuori.

Per tornare all’incipit. Chiediamo a loro se preferiscono correre il rischio del Covid-19, che appartiene tutti, non rinunciando – corre l’obbligo di precisare con le necessarie cautele – a quel mondo di relazioni e attività che costituisce la chiave primaria di un buon invecchiamento molto più del controllo farmacologico dei valori della colesterolemia. O se al contrario trovano preferibile essere reclusi in casa vittime di una odiosa e stolta discriminazione.  Chiediamolo anche al Presidente della Repubblica: è nella fascia della popolazione geriatrica.   

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