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La variante inglese. Dal 9 al 27 dicembre

Contributo di Alessandro Iannucci e Vittorio Sambri

L’espressione La variante inglese non può che far pensare, anche per il comune riferimento a un contesto di ‘malattia’, al pluripremiato film Il paziente inglese.

In effetti, a ben vedere, nell’improvvisa ed emergente diffusione della notizia di questa possibile variante del Covid-19 si ritrova una tensione narrativa straordinariamente efficace che, se pure non elaborata ex ante come strategia (lungi da noi l’agitare spettri complottisti), confermerebbe, in ogni caso, il ruolo straordinario del caso e della sorte, ben noto a Menandro e Plauto, nell’orchestrare avvincenti racconti la cui trama è per l’appunto frutto di singolari coincidenze, equivoci, intrecci.

Vediamone brevemente le sequenze. Il 9 dicembre, dopo quasi un anno di difficili trattative, il premier britannico Boris Johnson definisce “inaccettabili” le proposte UE di accordo per la tormentata Brexit. Ma l’esito fallimentare di una strategia che ha portato il biondo e capelluto leader dei conservatori a vincere per ben due volte le elezioni è presto subissato, nei media di tutto il mondo, da una apparentemente ‘nuova’ notizia, certo non falsa ma singolarmente, e opportunamente, comparsa nel momento peggiore per i vertici di Downing Street, sin qui piuttosto tiepidi nella gestione della pandemia così come alquanto intrepidi in quella di una sciagurata e intempestiva Brexit.

Infatti, improvvisamente, il 14 dicembre, una ricerca britannica sulle ‘varianti’ del SARS-Cov-2, generalmente abbreviato come Covid-19 o più confidenzialmente ‘coronavirus’, esplode e si diffonde nei media di tutta Europa dopo l’annuncio di Matt Hancock, il segretario alla salute del Regno Unito.

Ne segue una reazione a catena, da far invidia al famoso erre con zero: voli cancellati in tutta Europa per e da la Gran Bretagna, cui lo stesso, encomiabile statista italiano Di Maio si affretta a partecipare; il blocco dei camionisti francesi nei pressi del porto di Dover, voluto da un altro straordinario statista come Macron. E soprattutto riprende fiato in quei giorni la voce appannata degli immarcescibili NO VAX. La variante inglese renderebbe inefficaci i vaccini sin qui faticosamente prodotti; lo scettiscismo dilaga tra alcuni degli stessi addetti ai lavori e si rendono necessari testimonial d’eccezione per rilanciare quella campagna vaccinale che tutta l’Europa attendeva da tempo (non tutto il mondo: Bolsonaro, per esempio, con il cinismo che ParliamoneOra aveva già da tempo segnalato non avrebbe ancora ordinato i vaccini).

Ma come in una bella commedia plautina il complicato intreccio e la delicata situazione si sciolgono in fretta, e positivamente. negli ultimi giorni, non per l’arrivo di un deus ex machina ma per la capacità in sé degli eventi sin qui narrati di volgere verso una felice soluzione.

L’Agenzia Europea per i Medicinali, EMA, il 21 dicembrel’approvazione all’utilizzo del vaccino anti-Covid messo a punto dalla tedesca BioNTech e la statunitense Pfizer.

Il 24 dicembre, con grande giubilo, il tormentatissimo accordo di compromesso tra UK e UE arriva infine a una soluzione, graditissima a entrambe le parti e, parrebbe, agli stessi media.

Il 27 dicembre può finalmente concretizzarsi in tutta Europa il tanto agognato V-Day (e sono straordinariamente lontani gli anni, in realtà prossimi: era solo il 2007,  in cui in Italia l’espressione indicava ben altro presso i seguaci di un comico impareggiabile come Beppe Grillo).

Così si chiude il racconto dei fatti, cui vale la pena aggiungere come morale della favola qualche dato di natura prettamente scientifica sulla natura della presunta ‘variante inglese’.

Il 20 settembre il COVID Genomics Consortium del Regno Unito e la Public Health England hanno identificato una nuova variante di SARS-CoV-2 caratterizzata da diverse mutazioni nei geni ORF1ab, S, ORF8 e N, alcune delle quali comportano un’alterazione amino acidica. la variante è denominata VUI-202012/01 o lineage B.1.1.7

Il 25 novembre un team della University College of London pubblica su Nature Communications un paper che descrive la variante e che riporta come semplice ipotesi non confermata da evidenze,  la maggiore trasmissibilità interumana e la diversità di conformazione delle proteine S,  quelle del vaccino per intendersi.

In effetti Londra ed il sud Inghilterra hanno visto un numero altissimo (oltre 35k/giorno) di casi nelle ultime settimane: ma va sottolineato che la trasmissibilità del virus (ed il conseguente numero di casi) dipende al 70% dai comportamenti umani e al 30% dalle caratteristiche biologiche del virus (come ben spiega quello che è successo in Italia in Agosto: il “virus clinicamente morto”  è rinato negli assembramenti estivi in Sardegna e si è così rilanciato per una terribile campagna d’autunno)

Un virus, come noto, normalmente tende ad adattarsi alle specie in cui si diffonde (anche mediante selezione delle varianti geniche che hanno un migliore fitness per la specie ospite) ma contestualmente tende a ridurre la patogenicità: se infetta tanti individui in modo grave al punto da farli morire, il virus “perde” per la mancanza di ospiti in cui riprodursi; è quello che capita con Ebola: altissima trasmissibilità interumana, altissima letalità, ma di fatto epidemie che si limitano in fretta e non sfociano in situazioni pandemiche

Insomma, il 20 dicembre, il giorno prima dell’approvazione del vaccino l’autorevole ECDC, European Agency for Disease Prevention and Control, pone la questione in termini molto chiari: non vi sono evidenze scientifiche del fatto che la ‘variante inglese’ sia più trasmissibile e più patogena; non serve quindi, ribadisce, chiudere i collegamenti con il Regno Unito.

Un brusio di fondo (non quantificabile, non documentabile) che giunge da ambienti universitari inglesi, di alto livello scientifico e per questo con entrature significative nell’UK Government, ha bollato il virus variante come uno “smokescreen” per coprire la totale incapacità del governo Johnson a gestire l’epidemia (a Londra non sono mai riusciti a imporre un vero Lockdown e comportamenti corretti, come l’uso della mascherina nella Tube, il canale di circolazione pulsante della città). A latere gli stessi scienziati sembrano più preoccupati del fatto che grazie ad Hard Brexit dal 2/1/21 pagheranno il prosecco 5 pounds in più; certo, oltre a consigliare ai colleghi inglesi vini migliori rispetto all’esageratamente decantato prosecco, non possiamo concordare con loro che l’attenzione rivolta al virus diventato più ‘cattivo’ distoglie dalle conseguenze della Brexit. Insomma, a pensar male ci si azzecca, diceva un tale. E in ogni caso vi è una venatura comica nella caccia al ‘paziente inglese’, nel senso di individuo ‘ammalato’ o ‘contagiato’ da questa variante definita ‘inglese’, e non solo per l’insorgere di varianti venete o degli altri mille localismi italici; è bene ricordarlo, questa variante si è diffusa con l’aggettivo ‘inglese’ per il fatto di essere stata scoperta dagli inglesi e non perché  attecchita sul suolo ormai straniero, a noi europei, della perfida Albione.

Attendiamo tempi migliori, certo, in cui la diffusione del vaccino e qualche modifica all’accordo attuale della Brexit consenta alle nostre comunità di studenti e docenti di tornare in Gran Bretagna in scambio Erasmus piuttosto che da turisti. L’autore dell’Elogio della follia, olandese e cittadino ‘europeo’ da cui ha preso il nome questo programma ne sarebbe lieto e avrebbe probabilmente riso della poca lucidità con cui i media continuano a raccontare gli eventi compresi tra il 9 e il 27 dicembre.


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