Secondo il Global Climate Wall Report 2021 i cambiamenti climatici stanno diventando fattori
sempre più determinanti negli spostamenti delle persone da un territorio ad un altro.
Che si tratti di eventi meteorologici estremi o di variazioni di più lento corso (come
desertificazione, siccità, innalzamento dei mari), l’effetto prodotto è che alcuni luoghi del
mondo, già attraversati da pratiche estrattive neo-coloniali, e dotati di economie fragili o di
sussistenza, diventano sempre più inabitabili.
A subire maggiormente le conseguenze di queste attività sono infatti le popolazioni (umane
e non) che meno hanno contribuito alle emissioni di gas climalteranti e al surriscaldamento
del pianeta, che si ritrovano costrette a spostarsi altrove. Di solito, in altre zone del proprio
Paese (migrazione interna), a volte attraversando i confini nazionali nei paesi vicini o
intraprendendo un percorso di migrazione internazionale.
In che modo il diritto alla mobilità e la giustizia climatica sono collegate fra loro e a processi
coloniali di confinamento, alterizzazione e sfruttamento, che riguardano tanto gli umani
quanto i non-umani?
In che modo la crisi climatica si inserisce nelle dinamiche strutturali di disuguaglianza
globale?
Per comprendere la portata etica e politica di questa crisi è necessario evidenziare i processi
sociali e le dinamiche culturali che l’hanno resa possibile e che fino ad oggi l’hanno relegata
a mera questione “ambientale” piuttosto che a una questione di giustizia sociale.