Articolo del blog

Emozioni sonore al tempo del coronavirus.

La musica e il suo mondo migliore

Il tempo affievolisce i ricordi: giova rammentare. Nel settembre 2001 i cittadini statunitensi, sbigottiti di fronte all’immane tragedia delle Twin Towers, intonarono spontaneamente “God bless America”: affidavano a quella preghiera corale il loro dolore e la speranza della ricostruzione.

Oggi anche noi ricorriamo alla musica, di fronte alla guerra scatenataci da un esserino invisibile e malefico, il Sars-Cov-2, meglio noto come Covid-19 o coronavirus. Essa risuona dai balconi e dalle finestre d’Italia: ognuno canta e suona quella che ama, sentendosi però legato agli altri da un rapporto stretto e vicendevole.

È comprensibile, giacché la musica alimenta il senso di comunanza sociale, organizza le emozioni, e può esercitare un’azione consolatoria. Lo diceva Marsilio Ficino che la definiva “consolazione delle fatiche e pegno di vita duratura”; lo proclamava Schopenhauer  che la considerava “panacea di tutti i mali”; lo sapevano gli operisti del Settecento, che alla musica chiedevano di procurare il plaisir des larmes, efficace per stemperare le sofferenze in una dolcissima malinconia.

C’è un aspetto terribile nell’infezione, nella pestilenza, nell’epidemia: anche gli amici, i parenti stretti, figli, genitori, sposi, si trasformano. Appaiono ‘nemici’ in quanto possibili vettori di contagio, malattia, morte. E ciò fa vacillare certezze, mette in crisi sentimenti profondi come l’amore e l’amicizia, fa toccare l’abisso della solitudine esistenziale.

Oggi, di fronte all’angoscia generata da un pericolo invisibile, avvertito al momento come incontrollabile, la musica diventa un mezzo di sopravvivenza. Il ricorso ad essa diventa taumaturgico.

Nella nostra cultura il far musica è strettamente collegato all’ascolto. Se ti si ascolta, significa che ti si presta attenzione, ci si accorge di te. Suonando o cantando – da soli o in gruppo – si instaura un rapporto fra esecutori e ascoltatori: si ricostruisce proprio quel senso di solidarietà, simpatia, comunicazione che l’esserino malefico devasta.

Non importa che tu sia intonato o stonato, professionista o strimpellatore, il suono, il canto producono una corrente sentimentale che fa sentire forti e coesi.  E così, pur nella varietà dei generi musicali, si fronteggia meglio il nemico. Non è un caso che la musica più spesso eseguita sia stata in questi giorni “Il canto degli Italiani”, il cosiddetto Inno di Mameli. Pugnace, intenso, battagliero, risuonando in tutta la penisola ha fatto sentire gli Italiani un popolo unito, una ‘nazione’ impegnata in combattimento per il bene di tutti.

La musica attua un miracolo ulteriore: crea un mondo migliore, in cui si supera il dolore dei giorni tristi. Lo si sperimenta con Bach, Mozart, Beethoven, Rossini, De André, Vasco Rossi, Lady Gaga.

Nel 1817 – aveva vent’anni – Franz Schubert scrisse un Lied stupendo, “An die Musik”, su otto versi dell’amico Franz von Schober. Ne trascrivo qualcuno:

Tu, arte soave, in quante ore desolate
hai acceso il mio cuore al calore dell’amore
e mi hai portato con te in un mondo migliore!
Arte soave, di questo ti ringrazio!

(Du, holde Kunst, in wieviel grauen Stunden | Hast du mein Herz zu warmer Lieb’ entzunden, | Hast mich in eine beßre Welt entrückt! | Du holde Kunst, ich danke dir dafür!).
Ascoltatelo, dura tre minuti ed è meravigliosamente benefico.

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