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Il coronavirus e la tolleranza

Il virus per l’intanto è invisibile non solo all’occhio umano ma anche al microscopio ottico. Per vederlo bisogna usare un microscopio elettronico. Questa invisibilità del virus alla percezione ottica sensoriale è di per sè inquietante. Se poi si aggiunge che i virus sono molti milioni, se non miliardi, attorno e su di noi, e abitano la terra da almeno tre miliardi di anni, mentre noi sapiens datiamo all’incirca di trecentomila anni, degli infanti, ce ne è abbastanza per sentirsi un poco, forse nemmeno troppo poco, insicuri del proprio posto e ruolo nel mondo naturale. Almeno rispetto al concetto che da secoli informa lo sviluppo delle civiltà, di dominio dell’homo sulla Natura. Inoltre i virus non hanno una motilità e quindi mobilità propria. Per spostarsi devono trovare dei vettori su cui salire e farsi trasportare: ecco noi umani siamo uno di quei vettori. Dei taxi su cui i virus salgono e scendono. Infine i virus sono in genere esperti nel decifrare codici.

Se scendiamo ora nello specifico del coronavirus, possiamo pensarlo come una macchina biologica intelligente che effettua continui esperimenti sul DNA per adattarsi all’ecosistema che abita (William A. Haseltine). Adattarsi ma anche costruire , conquistare e ampliare lo spazio per lo sviluppo della sua specie facendo a volte per così dire pulizia, svuotandolo di eventuali altri ospiti indesiderati e/o troppo invadenti, nonche distruttori dell’habitat come il sapiens.

Quindi il coronavirus ha decifrato le nostre principali vulnerabilità: le difese biologiche, i modi di aggregazione dei corpi e i comportamenti sociali, le divisioni politiche consce e inconsce.

Su queste vulnerabilità ha agito dispiegando l’epidemia.

In modo un poco schematico. Il coronavirus è costituito da un filamento di RNA, che racchiude l’informazione genetica altamente variabile (a differenza del DNA piuttosto stabile), incapsulato in una corona di proteine. Quando il coronavirus entra in contatto con una cellula possono accadere diversi eventi. Il filamento di RNA si connette con la cellula in questione, trasmettendo il suo contenuto di informazione genetica (interi pezzi del nostro DNA sono di origine virale), quindi contribuendo allo sviluppo evolutivo del sistema biologico. Oppure il nostro virus può sparare la sua corona di proteine dentro la cellula, facendola letteralmente esplodere, e a volte generando una sequenza di eventi “esplosivi” per tutte le cellule in un certo intorno dell’origine, talchè eccoci in presenza di una possibile epidemia. Inoltre può accadere che il nostro sistema immunitario, preposto alla difesa contro gli agenti patogeni, scateni una risposta talmente violenta da produrre nel nostro corpo una infiammazione ancor più devastante dell’azione dovuta al patogeno.

In letteratura è frequente un esempio, quello dell’incendio e dei pompieri preposti a spegnerlo. Se in casa vostra scoppia un incendio e i solerti vigili del fuoco intervengono per spegnerlo, essi non debbono però utilizzare degli estintori con getti di schiuma ignifuga troppo potenti, perchè potrebbe accadere che nel mentre vengono domate le fiamme, anche voi vi troviate nella scomoda situazione di essere colpiti dai getti di liquido, col rischio di finire annegati e/o soffocati. Tradotto in termini dell’epidemia, può succedere che i deceduti siano uccisi non direttamente dal virus, ma piuttosto da una reazione eccessiva del loro sistema immunitario (o almeno questa reazione può essere una concausa). Dal che si capisce come il fenomeno del contagio epidemico, e delle sue conseguenze sia assai complesso, e che ancora non ne sappiamo abbastanza.

Nel contempo non giungono solo cattive notizie. Se guardiamo la situazione non dal punto di vista dei morti e/o degli ammalati, ma da quello dei sani, più precisamente di coloro che pur essendo positivi, non sviluppano la malattia, i cosidetti asintomatici, scopriamo che sono in gran numero. Veramente tanti. Costoro sembrano praticare una virtù che gli scienziati hanno definito “tolleranza”. Ovvero esistono molti individui tolleranti, quasi avessero stipulato un patto di non aggressione, e/o di reciproca convivenza col virus, che pure alberga nel loro sistema biologico.

Non sappiamo a tutt’oggi perchè certi individui godano di questa tolleranza, epperò sappiamo che non dipende dagli anticorpi. E quindi in questa prospettiva la domanda sembra non essere “come possiamo combattere il virus”, ma piuttosto “come possiamo generare, sviluppare e accrescere la tolleranza a esso”. Questione che travalica la usuale virologia come ce l’hanno raccontata in questi mesi, per accedere alla complessità del nostro ecosistema biologico, investendo i modi di vita, di alimentazione, di interazione tra viventi, e con la natura, fino alle aggregazioni sociali e politiche. (Surviving COVID-19: A disease tolerance perspectve. –Janelle S. Ayres- Science Advances- Apr 2020).

Avviandoci alla fine di questo scritto, il punto di vista della tolleranza spiega anche perchè nella massa dei positivi, ad ammalarsi sono stati soprattutto gli anziani e i vecchi. Avanzando l’età l’interruttore on/off dell’infiammazione (inflammosoma) diventa poco regolabile quando non cronicamente attivo (spesso), e quindi essi sono i più soggetti a reazioni infiammatorie fuori scala, per così dire.

Invece i pipistrelli, portatori di ogni genere di virus e batteri, rimangono immuni dalle malattie proprio perchè il loro sistema di attivazione infiammatoria è lento e poco sensibile

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