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La didattica online al tempo del Coronavirus. Come l’innovazione può nascere dall’emergenza

La peste del 1347 – mi raccontava un’amica esperta di storia dell’arte  –  mentre devastava le botteghe e la circolazione degli artisti, permise ad alcune innovazioni artistiche eterodosse di svilupparsi, approfondirsi e fissarsi. Il Quattrocento di Masolino e Masaccio, per semplificare, era dietro l’angolo.  L’innovazione necessaria, insomma… Se ne può trarre spunto per leggere ciò che sta accendo in università nelle settimane dell’epidemia COVID-19, magari cercando anche qualche idea sul punto da cui riprendere quando l’emergenza sarà alle nostre spalle.

L’Università di Bologna è stata tra le prime a mettere online la didattica: con gran velocità sono state predisposte piattaforme software, attivate forme di comunicazione tra studenti, uffici e docenti; alcuni regolamenti di massima sono stati redatti e continuamente aggiornati, sulla base degli sviluppi del contagio e della normativa nazionale; aule e docenti attrezzati di hardware adeguato.

Nel mio primo giorno di lezione del semestre, venerdì 21 febbraio, sentendo uno che tossiva in corridoio, terminai la lezione con la sfortunata battuta “Il coronavirus è arrivato a Cesena”; lunedì 24 le lezioni erano state sospese, lunedì 2 marzo partivamo con i corsi in modalità online.

In quella settimana tutto l’ateneo ha remato nella stessa direzione e con la stessa intensità: il Rettore, la sede centrale, e soprattutto il Cesia (servizi informatici), i dipartimenti, il personale tecnico-amministrativo…   I pochi malumori di alcuni colleghi (è inaccettabile, non siamo un’università telematica, il mio corso può solo essere svolto in presenza…) sono rientrati nel giro di pochi giorni, e quegli stessi che puntavano a prorogare l’avvio dei corsi in modalità online stanno ora lavorando a pieno ritmo.

La lezione è importante: in pochissimo tempo, sotto la spinta dell’emergenza (un’emergenza vera, questa volta), è stato fatto in maniera uniforme ciò che alcuni avevano invano cercato di realizzare, per i loro corsi o corsi di laurea, in molti anni.

Un aspetto fondamentale è stata la riduzione al minimo della burocrazia. Un altro, che è importante sottolineare, è stato lo sforzo degli informatici e di tutto il personale tecnico-amministrativo  che ha passato al lavoro dieci ore al giorno nel corso delle ultime due settimane.

E veniamo alla didattica. La mia esperienza riguarda un corso per ingegneria seguito da circa 170 studenti. Sino ad ora ho provato: (i) fogli A4 con webcam che riprende le mie mani che scrivono; (ii) tablet con pennino (con un software proprietario diffuso).

L’atmosfera della classe, soprattutto col tablet, è molto più “laboratoriale” che nei corsi classici. Gli studenti intervengono più numerosi, fanno domande e, spesso, trovano qualcuno tra loro che dà la risposta giusta prima che io mi sia accorto del messaggio sulla chat. Ogni volta che faccio una domanda ricevo almeno venti risposte. Io parlo dal mio ufficio, con in bella vista la scrivania strafogata di carta e libri; gli studenti mi guardano dalle loro stanze da letto o dalla cucina: c’è anche un’aria di intimità.

Forse per via dell’atmosfera, forse perché devo ancora impadronirmi dello strumento, mi viene meno naturale svolgere gli argomenti di teoria. Come se il teorema della funziona implicita, per dire, avesse una sua sacralità che richiede, come per le antiche tragedie greche, un luogo e modalità con caratteristiche rituali.

Con i pochi colleghi che incontro si discute di alcune possibilità che l’aula-laboratorio potrebbe offrire; argomenti di cui s’è discusso per anni senza mai fare dei concreti passi in avanti.

Al di là dell’ovvia facilità con cui si possono inserire nella lezione strumenti grafici e numerici (p.es. disegnando e variando il grafico d’una funzione di due variabili), la modalità in remoto ha la potenzialità di avere due docenti che interagiscono nella stessa lezione. Potrebbero essere il geometra e l’analista, l’analista e il fisico…

La collaborazione interdisciplinare, uno dei nostri Santi Graal, potrebbe finalmente fare qualche passo in avanti. Si può immaginare che parte del corso sia in condivisione tra diverse materie. Certo, questo sarebbe in teoria possibile anche nell’aula reale, ma assai più difficile da realizzare.

Più in generale, per alcuni corsi può essere immaginata una modalità differenziata: alcune ore in aula, altre in remoto con il docente, altre ancora in remoto con più docenti e via andando. Anche l’organizzazione degli studenti potrebbe essere ripensata, con gruppi di studio virtuali, magari impegnati anche su progetti più elaborati che non la soluzione di un esercizio.

Alla fine dell’epidemia del coronavirus sarebbe sbagliato lasciarsi alle spalle questo patrimonio di esperienze. È importante, al contrario, che dipartimento per dipartimento, ateneo per ateneo, disciplina per disciplina, si faccia di tutto ciò una ricognizione, un’analisi, che se ne discuta, che si lasci libertà di proseguire nella sperimentazione che oggi ci capita di dover fare per forza.

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