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La luce alla fine del tunnel… beati siano coloro che vivono in tempi interessanti

L’epidemia SARS del 2002 è stata una sveglia importante. Ha messo in evidenza che, nonostante il controllo capillare che pretendiamo di avere sull’ambiente, ci sono ancora là fuori “bugs” insidiosi pronti ad attaccarci. La SARS è stata una polmonite da infiammazione acuta causata dal virus SARS-Co, un agente infettivo estremamente piccolo formato da un guscio proteico che racchiude un piccolo mRNA con l’informazione indispensabile per sintetizzare le proteine del suo involucro.

Il SARS-Co, come tutti i virus, è un parassita cellulare. L’involucro proteico serve per protezione e per legarsi alle cellule bersaglio di cui usa l’apparato produttore per sintetizzare nuove proteine e duplicare il suo mRNA. L’assemblaggio proteine-mRNA è automatico e crea nuovi virus che vengono rilasciati in milioni di copie quando la cellula stremata muore. Le nuove particelle virali iniziano poi altri cicli vitali portando a una crescita esponenziale della carica virale.

Il virus di per sé non causa la malattia. I sintomi e la patologia dell’infezione sono dovuti a tossine rilasciate dalle cellule morte e a reazioni off-target della risposta di difesa del nostro organismo all’invasione del nemico. La malattia è il danno collaterale della guerra tra il nostro corpo ed il virus. 

Per fortuna l’epidemia SARS del 2002, anche se molto aggressiva, è rimasta circoscritta nei luoghi (sud est dell’Asia) e nel tempo (10 mesi) di diffusione.

Il SARS però era un virus nuovo (specie coronavirus) mai incontrato in precedenza dalla specie umana. Il suo insorgere avrebbe dovuto farci sospettare che “virus” nuovi, possibilmente più pericolosi del SARS-Co potevano fare la loro comparsa in ogni momento ed indurci a prepararci. Purtroppo, per molti motivi, alcuni validissimi, le “Cassandre” non vengono mai ascoltate e finita l’emergenza solo la Corea che era stata duramente colpita dalla SARS, ha preparato piani nazionali per prevenire l’insorgenza di nuove epidemie. Altre nazioni, incluse quelle europee, hanno continuato “bussiness as usual”.

Per fortuna, gli scienziati sono creature libere, curiose e con la pulsione a “capire” qualunque cosa colpisca la loro immaginazione. Alcuni studiosi quindi hanno continuato a studiare SARS-Co anche se l’emergenza era finita. Hanno sequenziato l’informazione genetica del virus, hanno fatto correlazioni tra le sue sequenze genetiche e quelle di coronavirus che infettano animali ed hanno identificato le due proteine presenti sulla superficie delle cellule endoteliali dei polmoni usate dal virus come porta per entrare nelle cellule e riprodursi. Queste informazioni erano alla portata di tutti. 

E poi nel dicembre 2019 sono comparsi i primi casi di polmoniti acute ad eziologia sconosciuta a Wuhan in Cina. E’ bastato quindi poco per capire che la sindrome era rappresentata da un coronavirus nuovo il cui genoma è molto simile a quello di SARS-Co per cui è stato chiamato, oltre che Covid-19 (da COronaVIrus Disease e  anno di identificazione), SARS-Co2. Gli scienziati hanno anche realizzato che la somiglianza dell’informazione genetica si estende alle regioni usate per entrare nella cellula e che quindi i due virus usano la stessa porta per entrare nelle cellule.

Questa porta è formata da due proteine coinvolte nell’ipertensione e nel cancro alla prostata attaccabili con numerosi farmaci di uso comune e sono stati già attivati protocolli per sperimentare se questi farmaci sono efficaci per prevenire e/o per curare SARS-Co2.

Come difesa contro le infezioni virali, il nostro corpo sviluppa anticorpi. E’ stato già dimostrato che il siero di pazienti guariti da SARS-Co2 contiene anticorpi, anche se a bassi livelli, che riconoscono il virus, neutralizzandolo. Poichè i centri trasfusionali hanno la tecnologia per isolare anticorpi per uso clinico, il siero dei pazienti guariti potrebbero essere usato per curare almeno le forme più gravi dell’infezione.

Esiste anche un software che identifica le regioni delle proteine (epitopi) più efficienti nel generare la reazione anticorpale. Questo programma è stato usato per identificare gli epitopi immunogeneci del COVID-19 che iniettati in conigli hanno stimolato la produzione di grandi quantità di anticorpi capaci di inibire l’infezione virale. L’identificazione di epitopi efficaci è la premessa necessaria per sviluppare un vaccino. La loro produzione in quantità e in condizioni di sicurezza è un processo lungo ma il primo trial di validazione è già iniziato in USA e si presume che partirà presto anche in Europa.

E’ stupefacente quanto lavoro è stato fatto in solo tre mesi dalla comunità scientifica per affrontare la pandemia in corso. Gli scienziati sono emotivamente motivati perchè hanno padri, madri, nonni anche loro e stanno usando le conoscenze su SARS-Co per generare con grande velocità informazioni utili per uscire fuori da SARS-Co2 con “minimi” danni collaterali. La cosa migliore che possiamo fare noi ora per proteggere i nostri cari è di stare calmi e di evitare di avere contatti con loro per non esporli al virus prima che sia disponibile una terapia.

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