Articolo del blog

Perché l’estensione dei green pass ai luoghi di lavoro non è incostituzionale

Corrado Caruso

La certificazione verde (cd. green pass) è al centro del dibattito pubblico di questi giorni. I toni della discussione si sono alzati dopo l’estensione, da parte del d.l. n. 127 del 2021, del green pass a tutti i lavoratori del settore pubblico e privato. Fino a pochi giorni fa, infatti, la certificazione verde si presentava come una sorta di onere imposto agli individui per svolgere determinate attività (per andare al ristorante, ad esempio) o usufruire di determinati servizi o mezzi di trasporto.  Il d.l. n. 127 del 2021 segna un salto qualitativo della certificazione verde, che da semplice onere diventa ora un obbligo giuridicamente sanzionato. In effetti, pur lasciando alla persona l’alternativa tra vaccinazione e tampone, la mancata certificazione produce un effetto parasanzionatorio: il lavoratore che ne è sprovvisto è considerato assente ingiustificato e va incontro alla sospensione della retribuzione fino al 31 dicembre, termine dello stato di emergenza. 

È questa una misura contraria alla Costituzione?  

Non vi è dubbio che l’obbligo di certificazione comprima il diritto al lavoro (art. 4 Cost.); si tratta però di una limitazione proporzionata, giustificata dalla necessità di garantire la salute (art. 32 Cost.) nella sua proiezione individuale (la salute come diritto fondamentale) e collettiva (la salute come interesse pubblico). Per tutelare questo duplice aspetto, il secondo comma dell’art. 32 Cost. prevede la possibilità di imporre i cd. trattamenti sanitari obbligatori, misure cioè che possono essere imposte anche contro la volontà della persona. L’imposizione della certificazione verde ricade proprio in questa ipotesi: pur lasciando un’alternativa (vaccino o tampone), la persona è comunque tenuta a sottoporsi a uno di questi trattamenti se non vuole perdere temporaneamente la propria retribuzione lavorativa. 

L’art. 32.2 Cost. pone una serie di condizioni affinché questo tipo di misure siano legittime: oltre alla necessità di tutelare l’interesse individuale e collettivo alla salute, l’eventuale obbligo deve essere previsto dalla legge e non deve varcare il rispetto della persona umana, da intendersi come complessiva proporzionalità della misura e della eventuale sanzione.

L’obbligo di certificazione soddisfa simili condizioni. Volta a preservare lo stato di salute anche e soprattutto dei soggetti deboli della nostra comunità, il green pass soddisfa gli inderogabili doveri di solidarietà che la Costituzione richiama al suo art. 2. Anche la necessità di disciplinare questo genere di misure con legge è stata rispettata. Per costante giurisprudenza costituzionale, infatti, le cd. riserve di legge sono soddisfatte non solo dalla legge formale del Parlamento, ma anche dagli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e, come nel caso di specie, decreti-legge) provenienti dal Governo. Proporzionata è anche la sanzione, in una materia dove vige una ampia discrezionalità legislativa: come ha chiarito la Corte costituzionale, le istituzioni rappresentative possono «calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività» dei trattamenti sanitari obbligatori (Corte cost., sent. n. 5 del 2018). Inoltre, nel caso di specie non è prevista alcuna coercizione fisica, capace di coinvolgere la libertà personale del soggetto (come invece accade per quei trattamenti cui possono essere sottoposti gli infermi di mente, per i quali può essere prevista, previa convalida del giudice, un obbligo di degenza presso la struttura sanitaria). La proporzionalità della sanzione si deduce da due ulteriori indici: a) l’assenza di certificazione verde non assurge a condizione risolutiva del rapporto lavorativo, anzi viene espressamente sancito il diritto alla conservazione del posto di lavoro; b) la misura è temporanea, posto che essa va applicata sino al 31 dicembre 2021, termine dello stato di emergenza.

Il green pass non pone dunque problemi di costituzionalità. 

Neanche la richiesta, che proviene da alcune parti sociali e talune formazioni politiche, di garantire la gratuità del tampone non coglie nel segno: in un contesto normativo che intende favorire la vaccinazione attraverso una “spinta gentile”, che, senza imporre l’obbligo vaccinale, favorisca la diffusione vaccinale tra la popolazione, la gratuità del tampone rischierebbe di porre nel nulla la logica di fondo che ispira il piano vaccinale. Il tampone gratuito renderebbe equivalente la scelta tra tampone e vaccino, ponendo dunque (questa sì!) una irragionevolezza di sistema, contraria alle finalità del complessivo disegno normativo predisposto dal legislatore. 

Infine, un’ultima risposta a coloro che, criticando la generale impostazione sottostante alla certificazione verde, sostengono la necessità dell’obbligo vaccinale. Secondo talune posizioni, quest’ultimo garantirebbe una maggiore protezione giuridica dei vaccinati, perché consentirebbe, in caso di eventuali effetti collaterali, un corrispettivo economico di matrice pubblica da erogare nelle forme dell’indennizzo. In verità, ancorché non previsto espressamente dalla normativa sul vaccino anti-covid, vi è, nella trama dell’ordinamento, un principio generale che riconosce l’indennizzo anche a fronte di effetti collaterali conseguenti alle vaccinazioni raccomandate. Simile principio è stato enunciato dalla Corte costituzionale quando ha affermato che, fermo restando l’eventuale risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’indennizzo spetta anche in caso di lesioni o infermità derivanti da taluni vaccini consigliati (come il vaccino contro l’epatite A, sent. n. 118 del 2020, o quello antinfluenzale, sent. n. 268 del 2017). Queste considerazioni non tolgono che, per ragioni di certezza normativa, sia opportuno un intervento legislativo che espressamente estenda l’indennizzo alla vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2.

Link all’audizione in Senato

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