Articolo del blog

Uscire dalla pandemia a piccoli, grandi passi

Rispetto delle regole per grandi passi. Foto di Travel business

Contributo di Francesco Vella

Pubblicato sul sito www.lavoce.info il 30.04.20

La convivenza con il Covid-19 ci obbliga a nuove regole e a cambiamenti di abitudini consolidate. Dobbiamo avere la capacità di rivedere le nostre conoscenze adeguandole ai nuovi rischi. Comunicazione chiara ed educazione sono le parole chiave.

Piccoli accorgimenti per grandi risultati

Tutti noi ci dobbiamo confrontare con uno scenario inatteso: ci ha colto di sorpresa, ma rappresenta comunque la realtà con la quale fare i conti per un periodo di cui non conosciamo la durata e durante il quale dovremo rispettare regole prudenziali per la nostra e l’altrui salute.

Dal punto di vista pratico, esistono alcuni possibili strumenti, frutto delle sperimentazioni nell’ambito di quel vastolaboratorio rappresentato dalle scienze comportamentali, che possono essere utili, nelle grandi come nelle piccole cose, per un più efficace rispetto di quelle regole.

Piccoli passi per grandi risultati

Molti studi mettono in evidenza che per farci tenere pulite le mani è utile una comunicazione con una adeguata infografica, disegni minimali, testi semplici e soprattutto una enfasi sui diversi passaggi necessari per lavarsele meglio. Bisogna, poi, aggiungere meccanismi che inducano comportamenti più virtuosi, rendendoli automatici e immediati. Così, negli uffici privati e nei luoghi pubblici non è tanto importante avere un gran numero di dispensatori di disinfettante, ma la visibilità della loro collocazione, accompagnata da segnalatori o percorsi che attraggano la nostra attenzione (Pete Lunn, Cameron Bolton, Ciarán Lavin, Féidhlim McGowan, Shane Timmons, Deirdre Robertson, Using Behavioural Science to Help Fight the Coronavirus)

come lavarsi correttamente le mani, piccoli gesti per grandi risultati

Se per il lavaggio frequente delle mani si tratta di promuovere nuove abitudini, più difficile può essere cercare di cambiare quelle già consolidate, in alcuni casi quasi compulsive. Alcuni studi hanno appurato che in un’ora ci tocchiamo circa 15 volte faccia, naso o occhi. Lavarsi le mani è un’azione facilmente osservabile e immaginabile, non abbiamo invece modelli mentali che riescano sempre a bloccare ciò che spesso facciamo senza rendercene conto. Qui anche la migliore comunicazione può rivelarsi insufficiente. Si possono allora utilizzare strade che inducano a comportamenti sostitutivi, come ad esempio toccarsi con il polso o il braccio, parti presumibilmente meno esposte all’infezione, o, quando stiamo in famiglia, chiedere a chi ci sta vicino di avvisarci ogni volta che cadiamo in tentazione. Indubbiamente, però, non sono percorsi in grado di dare risultati immediati (Michael Hallsworth, How to stop touching our faces in the wake of the coronavirus).

Può, però, venirci in aiuto la tecnologia, se le attribuiamo un ruolo di spinta verso una modifica dei nostri comportanti. Così, le app delle quali tanto si parla, oltre ad avere una funzione di registrazione della storia dei nostri contatti, potrebbero avere un ruolo attivo anche raccontandoci una nuova storia, ad esempio ricordandoci e segnalandoci ogni tanto, magari con un frame grafico o musicale particolarmente attraente, i modi migliori per usare e non usare le nostre mani.

Si tratta di piccoli accorgimenti, peraltro abbondantemente sperimentati in altri campi, che – lungi dal rappresentare soluzioni miracolose – cercano di promuovere scelte virtuose che i nostri limiti cognitivi possono ostacolare in un contesto fino a un mese fa del tutto sconosciuto. Si tratta di una sorta di sistema di tipo “Lego”, e cioè mattoncino su mattoncino, per costruire e consolidare abitudini funzionali all’obiettivo desiderato. Piccoli passi per grandi risultati.

È bello essere ignoranti

Per il futuro dovremo quindi avere la capacità di seguire e praticare nuovi comportamenti che potranno essere facilitati da un contesto che li renda più agevoli e semplici da attuare e comprendere. Questo potrà avvenire tramite quella che in letteratura è ormai nota come una “architettura delle scelte”, che cerca di indirizzarci verso le opzioni più salutari. Un ruolo importante, tuttavia, lo avrà anche la capacità di definire una rete di strumenti per imparare a ri-programmare la nostra esistenza di fronte a imprevisti che comportano radicali cambiamenti (Susan Michie, Behavioural strategies for reducing Covid-19 transmission in the general population)

È una ri-programmazione fondata innanzitutto su un semplice e banale insegnamento della crisi pandemica, che nella nostra mente fa fatica ad affermarsi perché rappresenta uno dei condizionamenti più pericolosi (tanto che di questi tempi se ne può rintracciare qualche testimonianza anche tra gli esperti della materia). Si tratta di uno dei più antichi e studiati pregiudizi (bias) mentali: l’eccesso di confidenza (overconfidence), la naturale sovrastima della propria intelligenza e della capacità di conoscere, controllare e valutare gli eventi.

Come sostengono gli autori di un volume tuttora molto utile per decifrare la realtà che ci circonda tenendoci lontani da ogni illusione di conoscenza, “il punto, per noi, non è che le persone sono ignoranti; è che le persone sono più ignoranti di quanto pensano di essere” (Our point is not that people are ignorant. It’s that people are more ignorant than they think they are – Steven Sloman, Philip Fernbach, The Knowledge illusion, 2017).

Umili, consapevoli ed educati

In questi giorni gli scienziati comportamentali hanno così ripreso il concetto di “umiltà epistemica” (Erik Angner, Epistemic Humility – Knowing Your Limits in a Pandemic), cioè la consapevolezza della provvisorietà e incompletezza delle nostre conoscenze e la conseguente capacità di rivederle adeguandosi ai nuovi rischi, o meglio a condizioni di assoluta incertezza. La domanda è: come fare? E, soprattutto, quali sono gli strumenti in mano al decisore politico? Qui si può soltanto accennare a due specifiche “dorsali” meritevoli di essere meglio esplorate. La prima, sicuramente più scontata e già oggetto di grandi attenzioni e approfondite analisi, passa attraverso la promozione di una rete di comunicazione attenta a principi di semplificazione, chiarezza e coerenza e, soprattutto, credibilità nello spiegare ciò che si sa, ciò che non si sa e ciò che appartiene al mondo della assoluta incertezza.

La seconda, spesso meno considerata, è l’educazione. Non solo una corretta e critica percezione dei dati scientifici per non cadere nelle infinite trappole delle fake news, ma una educazione, appunto, al governo dell’incertezza e alla programmazione dei nostri comportamenti. Ad esempio, imparare a chiudersi in casa (di nuovo) e a gestire i nostri rapporti lavorativi e privati, essere pronti a rivedere in tempi rapidi consolidate abitudini, definire pratiche di condivisione e cooperazione collettiva di fronte alle emergenze improvvise. In sostanza, un grande progetto di educazione permanente per giovani e meno giovani (e qui azzardo la proposta di un bonus universale di civiltà consistente in una settimana di formazione per tutti).

Come gli astronauti?

Sono semplici suggestioni sulle quali naturalmente riflettere, ma che possono comunque indicarci future strade. Chris Hadfield, un noto astronauta canadese, tempo fa ha scritto un libro – Guida di un astronauta per la vita sulla terra – nel quale descrive la sua esperienza. Nel terzo capitolo intitolato “Il potere del pensiero negativo” descrive il training prima di partire, nella piena consapevolezza di tutti i sofisticati strumenti a disposizione, ma anche di tutte le possibili e imprevedibili situazioni che avrebbe potuto dover affrontare, completamente da solo e lontanissimo dalla terra: guardare all’incognito, anche nelle sue peggiori, estreme e catastrofiche manifestazioni.

Non siamo astronauti, ma la grande lezione di questa crisi è che anche noi dovremo allenarci per l’incognito.

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